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Perché il talento è quella fiamma da tenere sempre viva

Aggiornamento: 6 gen 2020


Vedo troppi ragazzi intraprendere degli studi o fare un lavoro per cui non hanno la minima predisposizione. Questo a volte fa loro credere di non essere abbastanza bravi, di non essere all’altezza o addirittura, di essere stupidi.

Vedo troppe famiglie spingere i figli verso questo o quell'altro lavoro, perché a loro volta erano stati spinti dai loro genitori. E il risultato? Persone non proprio felici non possono che spingere verso l'unica direzione che conoscono! Verso la non-proprio-felicità, verso la sensatezza... peccato che ciò che una volta dava garanzie certe di un futuro se non proprio felice, comunque sereno, oggi non è più scontato che sia così.

Esaminiamo un attimo come generalmente nella stragrande maggioranza dei casi nel sud dell'Occidente si viene cresciuti: l'educazione viene delegata a una scuola, che conta su insegnanti mal pagati ed infrastrutture obsolete. I programmi scolastici sono pressappoco gli stessi di quelli che studiavano i nostri genitori, le innovazioni tecnologiche come lavagna magnetica e registro elettronico hanno comportato un grande dispendio di denaro pubblico, ma... era proprio questo ciò di cui aveva bisogno la scuola?! L'approccio metodologico viene insegnato attualmente nei TFA, ma quali che siano i metodi di formazione e reclutamento dei docenti da un governo all'altro, la sostanza non cambia: le tecniche ci sono, solamente che, posto che l'insegnante abbia un reale "fuoco sacro" e intenda utilizzarle in classe, spesso si scontra con farragini burocratiche, e... il programma! Sempre lui... se c'è il bello o il cattivo tempo, se la classe è piena o è decimata dal virus gastrointestinale... il programma si deve finire! E non importa che non importi (scusate il gioco di parole)... s'adda fa', punto. E allora inventa di tutto, sequestra gli smartphone, fai ridere gli alunni, riporta il silenzio... che fatica! e che brutta scuola! E solamente perché... fare il programma stufa i docenti e non interessa gli alunni. Siamo in un momento epocale di crisi del sistema scolastico, in cui siamo in buona parte d'accordo, nella triade studenti-famiglie-docenti che qualcosa va fatto.

Nelle tante scuole in cui ho lavorato, "ho visto cose che voi umani"... no! quella è un'altra storia. Ma arrivando al mondo della scuola per destino più che per intenzione (se siete curiosi lo racconterò in un altro post), e soprattutto dopo anni di lavoro nella consulenza e nella mobilità giovanile, i nodi al pettine mi sono venuti subito!

Prima di tutto il malessere nell'organizzazione. Una sensazione diffusa e condivisa tra tutti: insegnanti, studenti, anche dirigenti! Gli studenti passavano più tempo possibile nei bagni o nei social (l'evasione), gli insegnanti facevano il programma (scusate se mi ripeto, ma secondo me la professione docente non è mai stata tanto vicina al ruolo del funzionario come in questi anni) e sorvegliavano. E i momenti di disattenzione potevano essere fatali! Non serve che racconti qui episodi di cui sono stata testimone: è la stessa cronaca locale di cui sono pieni i giornali...

Ora io non voglio che passi il messaggio che sia tutto da buttare via: sarebbe un danno e un'ingiustizia nei confronti di tanti amici, colleghi, docenti, dirigenti che rendono viva la scuola, grazie al loro sapere, al loro interesse per gli alunni, alla capacità di tessere relazioni profonde e significative con loro, al loro carisma... Ma davvero il "funzionamento" del sistema-scuola deve reggersi così tanto su tanto rare doti personali? Davvero può essere così poco "scientifico"?

E allora nelle ore di sostituzione, nelle giornate di allerta meteo, nelle ore di assemblee sindacali, sapete chi mi veniva in mente?...Socrate! Io non lo so perché, ma pensavo a Socrate e alla maieutica (il modo in cui faceva scoprire la verità ai suoi discepoli su ciò che a loro interessava ponendo loro le domande giuste), che nella sua veste più attuale mi appariva come Luciano De Crescenzo in "Così parlò Bellavista"!

E di scuola in scuola, di città in città (ho lavorato in scuole di Roma, Napoli e adesso Lucca) gli alunni cambiavano, i colleghi anche... ma Socrate restava! E sapete cosa voleva dirmi? "Non si può programmare l'interesse di una persona, non si può rispondere a domande che non ti ha mai fatto!". E così fu... iniziai a leggere di nuova pedagogia, iniziai a frequentare corsi sull'outdoor education (imparare all'aperto) e a vedere intorno a me tante esperienze interessanti (spesso lontane e irraggiungibili, comunque ancora troppo poche), soprattutto grazie ai miei figli, che dovevo affidare a nidi e scuole dell'infanzia, mentre lavoravo a mia volta a scuola. Al momento conosco un buon numero di esperienze di Outdoor Education in Campania e in Toscana, le altre le conosco invece solo virtualmente grazie al lavoro mediatico oltre che formativo di persone validissime come Alessandro Bortolotti, Adele Caprio, Danilo Casertano e Christian Mancini. Tutte queste esperienze però riguardano solamente i nidi e la scuola dell'infanzia, vanno riducendosi alla scuola primaria, solo una scuola media mi è pervenuta in Toscana, mentre come scuola secondaria di secondo grado non ho trovato nulla al momento, in tutta Italia, che porti la didattica per scelta metodologica fuori dall'aula. Ed è così che ho deciso di iniziare un dottorato, all'università di Granada, in cui approfondirò le potenzialità dell'Outdoor Education per gli studenti di scuole superiori. Studio tra mille difficoltà: i bambini da portare a scuola, la nostra complicata casa nelle campagne lucchesi da mantenere decente, i pomeriggi di giochi pazzi, i miei altri interessi... Ma che meraviglia! 

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